Regional Economy
Rivista di economia regionale e sviluppo locale
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Regional Economy

Le fusioni di comuni in Italia: un fenomeno settentrionale

by Francesco Aiello
in Regional Economy, Volume 2, Q3, 2018

I dati più recenti. Nel corso del 2018 si ha conferma che le fusioni tra comuni sono un fenomeno che attira l’interesse solo nelle regioni del centro nord del paese. Durante l’anno, le fusioni approvate sono state 19 e hanno interessato 42 comuni. Di queste, solo una – quella di Corigliano-Rossano  – è avvenuta nel Mezzogiorno d’Italia. Le regioni che hanno mostrato maggiore dinamismo nella trasformazione della governance del territorio sono state il Piemonte (in cui si sono avute ben 5 fusioni) e la Lombardia (4 fusioni), seguite da Friuli Venezia Giulia (2), Veneto (2), Friuli Venezia Giulia (2), Emilia-Romagna (1), Liguria (1) e Trentino-Alto Adige (1). Si hanno anche informazioni sulle fusioni già approvate, ma che si avvieranno nel 2019 (2 in Piemonte e 1 in Trentino) e nel 2020 (4 in Trentino). Un elemento di valutazione che emerge dai dati del biennio 2018-2020 è che le fusioni interessano tutte, tranne Corigliano-Rossano, comuni originariamente piccoli o addirittura nano, ossia con meno di 500 residenti.[1] Tra i nuovi comuni quello di maggiore dimensione (7200 abitanti) è Varallo, in provincia di Vercelli, che nasce per incorporazione tra Sabbia (54 residenti) e Varallo (7146 residente). Nella stragrande maggioranza dei casi, la popolazione dei comuni nati nel 2018 oscilla tra 1800 e 3500 residenti.

Figura 1

Non è un fenomeno meridionale. La figura 1 riporta la distribuzione per regione delle 117 fusioni approvate dal 2009 in poi (in aggregato queste fusioni hanno determinato in Italia la soppressione di 276 comuni. Su questo punto si veda anche il saggio di Marinuzzi e Tortorella, 2018). Ben 71 fusioni (il 61% del totale) si sono avute in tre regioni, ossia in Trentino Alto Adige (29 fusioni e 84 comuni soppressi), Lombardia (27; 58)  e in Piemonte (15; 26). Nel mezzogiorno d’Italia, le fusioni avviate sono solo 3 (2 in Calabria e 1 in Campania), mentre la Grande Pescara in Abruzzo si avvierà (forse) nel 2022. I dati evidenziano come la fusione sia un istituto quasi esclusivamente utilizzato dai comuni centro-settentrionali.

Discussione. È naturale chiedersi perché i comuni meridionali sono disinteressati ai processi di aggregazione, nonostante molte condizioni siano condivise in tutte le aree del paese. Il quadro normativo e le indicazioni politico-istituzionali per una rivisitazione degli assetti di governo del territorio sono uguali da nord a sud, così come uguale è la procedura di accesso agli incentivi a sostegno delle fusioni (di cui, in base alla figura 1, si appropriano legittimamente le regioni settentrionali). La riduzione dei trasferimenti dallo Stato agli enti periferici è uguale in tutte le regioni. Se fosse asimmetrica a svantaggio del Nord, si potrebbe pensare alla fusione come a uno strumento da utilizzare per compensare con il bonus fusione i tagli dei fondi ordinari (sebbene solo per un decennio e solo per i comuni che aderiscono a una fusione). Un ulteriore elemento di similitudine da regione a regione è la presenza dei piccoli comuni. Poiché non è una specificità del settentrione, le regioni del sud rinunciano al recupero di efficienza che, a regime, si ha quando ad aggregarsi sono le piccole municipalità (le economie di scala operano fino alla soglia di 10-12mila residenti). Peraltro, questi miglioramenti nell’organizzazione gestionale delle amministrazioni sono tanto più elevati quanto maggiore è la prossimità geografica dei centri urbani, un fenomeno ad elevata frequenza, per esempio, in Calabria. Esistono però alcune differenze. Per esempio, i casi di pre-dissesto e dissesto finanziario dei comuni sono concentrati a Sud. A parità di altre condizioni, ciò segnala una minora capacità gestionale da parte delle amministrazioni meridionali. Ai fini di questa discussione è utile anche richiamare come, in media, la capacità fiscale dei comuni del nord sia maggiore di quella del sud: in mancanza di un’appropriata “base imponibile”, i comuni meridionali dovrebbero, quindi, essere più inclini a ricercare soluzioni efficienti per liberare risorse a supporto dei servizi alla collettività. Diversa è anche l’attenzione delle Regioni nei confronti delle fusioni: strutture di guida, sostegno e indirizzo delle fusioni tra comuni si hanno in molte regioni del Centro-Nord (per esempio, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana), mentre sono assenti nel Mezzogiorno d’Italia, a parte qualche timido segnale di interesse in Calabria (legato però alla contingenza di qualche ipotesi di fusione). In estrema sintesi, si può ragionevolmente affermare che le fusioni dovrebbero essere relativamente più diffuse a Sud, mentre nella realtà si osserva il contrario. Per quanto esposto in questa breve nota, è un paradosso che non è spiegabile dal punto di vista dell’analisi strettamente economica.

Note:

[1] Per esempio, Alto Sermenza (in provincia di Vercelli) nasce dalla fusione di Rima San Giuseppe (58 residenti) e di Rimasco (101 residenti); Valvarrone (provincia di Lecco) è un progetto che ha interessato Introzzo (119 residenti), Tremenico (146 residenti) e Vestreno (305 residenti); Treppo Ligosullo (provincia di Udine) aggrega Ligosullo (104) e Treppo Carnico (607); Montalto Carpasio (provincia di Imperia) ha interessato Carpasio (157) e Montalto Ligure (386).

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